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sabato 21 agosto 2010

Di carcere, d'estate. A Massimo Papini, detenuto per non aver avuto paura della parola "Br"

Alla fine di questo mese Massimo compirà gli anni. Non mi ricordo nemmeno quanti, ma ad occhio e croce 35. Da più di dieci mesi Massimo è in carcere, accusato di associazione sovversiva. Br, quella è la sigla, E a distanza di decenni, fa talmente tanta paura che nessuno dice una parola su di lui. Il Tribunale del riesame a giugno gli ha rifiutato la libertà, e lui resta dentro, colpevole di aver amato, a vent'anni o giù di lì, una ragazza che nelle Br, per sua stessa ammissione, c'è finita davvero. Fragile lei, e lui, che le era restato amico, messo dentro per farle pressione. Ai giudici piacciono le parole, ma lei ne ha dette poche: semplicemente, si è uccisa, come il povero Miché.
Poteva, quello stesso giudice, liberare Massimo? Ammettere di averlo usato come arma, spuntata e inutile, verso una donna che invano gli avvocati avevano chiesto di portare in ospedale? In un Paese di immemori, di spaventati e codardi, si resta in carcere persino per meno di questo. Si rischia di restarci per anni, con una vita fuori che ti reclama, con il sole alle sbarre che picchia e un desiderio inutile di essere altrove. In una estate diversa da questa li ho conosciuti entrambi. A lei devo il dolore, a lui ancora l'amore, il ricordo di essere stati giovani insieme.

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